Le nuove frontiere del marketing relazionaleestratto ed adattamento da: Societing, il marketing nella società post-moderna, G.P. Fabris [*] II marketing relazionale non e certo nuovo: se ne parla ormai da molti anni. Il rischio è che, nella traduzione a livello della prassi e nelle finalità che lo ispirano, finisca per assumere i caratteri di una parodia, stravolgendo il modo in cui dovrebbe realmente manifestarsi: per le finalità che si è posto e per i metodi adottati. Dovrebbe invece costituire il più tangibile attestato di un profondo ripensamento su come rapportarsi al consumatore, del divenire l'impresa soggetto relazionale, dell'emergere di nuovi paradigmi; un ripensamento di come relazionarsi con il consumatore, disincantato ma demanding, della cultura postmoderna. II marketing relazionale non dovrebbe avere le sembianze di una sorta di ultima spiaggia da presidiare dopo che i canali tradizionali di incentivazione delle vendite cominciano a dare vistosi segni di stanchezza vedi la diffusa convinzione che i media tradizionali, e in particolare le grandi televisioni generaliste che assorbivano tanta parte degli investimenti pubblicitari, non siano in grado di entrare in sintonia con i nuovi scenari. Ancor meno dovrebbe esaurirsi nel customer care o in attività di cross/up selling o, divenire sinonimo, ma anche degrado, di attività di retention e/o di fidelizzazione. Gummeson, osserva: «il concetto di marketing e comunemente espresso col "cliente al centro". Tale espressione è diventata uno slogan diffuso, ma compreso e attuato solo da pochi. A volte viene percepito solo come una moda da seguire o, ancora, come un astuto trucco per ingannare il Consumatore». La centralità del consumatore, di cui appunto il marketing relazionale dovrebbe rappresentare la più espressiva risposta, è divenuta ormai una sorta di assioma. Di essa si parla sempre più frequentemente e non c'è ormai evento, in cui si discuta di mercati e strategie, che non vi si faccia riferimento. E’ ormai, per l'impresa, una sorta di mantra da recitare sempre pia spesso: per autoreferenzialità, perché lo fanno i competitor, perché è comunque considerato doveroso e politicamente corretto. Eppure è difficile scorgerne poi, a livello della prassi aziendale, contenuti conseguenti, tanto da far pensare, mutatis mutandis, a una versione rivisitata di quella "sovranità del consumatore" che ha popolato tante generazioni di volumi di economia. Quando, sin dai tempi di Smith e di Ricardo, si proclaamava “the consumer is King”: un ossequio formale, un enunciato nobile da cui non deriva alcuna reale discontinuità con una prassi che, invece, ha sempre considerato il consumatore come suddito. La differenza però, rispetto al passato, è sostanziale: nella società che si va avviando al postmoderno il Consumatore ha davvero sviluppato un reale potere e, soprattutto, ne va prendendo consapevolezza. Manifesta una crescente insofferenza nei confronti delle tradizionali pratiche del marketing e della pubblicità e insoddisfazione verso molte delle proposte del mercato. Per alcune scelte avverte disagio nei confronti della serialità. La reverenza e subalternità psicologica nei confronti di chi produce e vende appartiene alla cultura della modernità e sempre più il consumatore esprime un'autonomia di giudizio, una competenza, una discrezionalità di scelta the non trovano riscontro nelle sue precedenti biografie. Il recente emergere di un economia low cost e il grande negozio virtuale che è divenuto Internet hanno probabilmente svolto una funzione maieutica e accelerato la grande trasformazione già in atto. Un consumatore che ha più potere anche perché ha accesso a canali sempre più diversificati come contenuti, utilizza informazioni in modo nuovo e partecipa alle conversazioni producendo contenuti. «La centralità del consumatore, scrivono Farinet e Ploncher, dovrebbe, a rigor di logica, tradursi in una costante attenzione della società civile alla realizzazione delle aspettative di quest’ultimo e alla tutela dei relativi interessi... Il consumatore, viceversa, e stato relegato a essere controparte passiva di un gioco condotto dalle imprese attraverso le proprie politiche distributive... Il nuovo consumatore si rende conto di ciò, si riappropria della sua volontà decisionale e rivaluta il potere di cui è depositario... egli quindi non si limita a ricevere in modo passivo quanto le imprese riversano sul mercato, bensì riveste di connotazioni critiche il proprio consumo». Si ha la sensazione che la grande maggioranza delle imprese non sia ancora culturalmente attrezzata per comprendere il reale nuovo significato e la virtuale discontinuità con il passato, che non abbiano cioè inteso la rivoluzione culturale che implica la transizione da un orientamento al marketing (che caratterizza i comportamenti di impresa nell'epoca della modernità) all'orientamento al consumatore che e coevo alla transizione al postmoderno. Una rilettura storica dell’evoluzione delle imprese, scandisce il divenire dell'impresa moderna in quattro grandi fasi. All'inizio vi è l’orientamento al prodotto: la tensione e tutta rivolta a produrre per far fronte a una domanda crescente. Il primato è, fino in fondo, attribuito alla produzione. A questa fase segue un lungo periodo storico caratterizzato dall' orientamento alia vendita. Si è soliti individuare nella grande crisi del '29 l'ingresso in questa nuova fase, quando, in maniera drammatica, emersero i rischi della sovra produzione e l'esigenza di dedicare alla stimolazione delle vendite non meno energie rispetto a quelle rivolte alla produzione. La provocazione che «è più importante assicurarsi un mercato che possedere una fabbrica» comincia a comparire sul frontespizio dei primi volumi sulla nascente “arte del vendere”. Se, nella fase precedente, il motto era vendere tutto ciò che si riesce a produrre adesso vi e un capovolgimento di prospettiva: produrre tutto ciò che si riesce a vendere. Vendere a tutti costi, vendere il più possibile, in una prospettiva temporale tutta rivolta al presente: questo atteggiamento caratterizza una lunga stagione di interventi dell'impresa sui mercati. Le evidenze della miopia insita nell'assoluto primato delle vendite; il pericolo di pregiudicare successivi riacquisti forzando la mano al consumatore; la prospettiva, tutta azienda/centrica, di questo tipo di approccio introducono quasi fisiologicamente il passaggio a una nuova fase, che, appunto, è detta dell' orientamento al marketing e che comincia a prendere corpo almeno fra i paesi industriali avanzati, di cui allora l'Italia non faceva parte, negli anni Cinquanta. La vendita rappresenta, naturalmente, ancora un fine ma non può essere che la risultante di un lungo processo. Non e più "l'arte del vendere", ma l'applicazione di una nuova scienza (appunto il marketing codificato dall’economista Kotler) a sollecitare la domanda mediante complessi interventi, che vanno dalla ricerca sul consumatore alle strategie distributive, dalle problematiche del prezzo alla gestione delle moderne tecniche per stimolare le vendite. Forse, in primis, nella creazione e nel controllo su basi scientifiche della pubblicità. L'attività di vendita, per essere efficace e per non esaurirsi, come nella precedente fase, nel presente, non può che rappresentare il momento terminale di un'accorta regia che va, appunto, sotto il nome di marketing. L'orientamento al marketing condiziona l'intero processo produttivo ponendosi soprattutto a valle e solo parzialmente a monte, di questo e utilizza in maniera consapevole tutte le leve di cui dispone il marketing mix: per creare le condizioni più favorevoli e più efficaci per la vendita. Questa fase (che costituisce tutt’oggi ancora un punto di arrivo, un obiettivo per molte imprese almeno nel nostro paese) viene superata da un'ulteriore evoluzione: quella caratterizzata dall'orientamento al consumatore. Molti hanno difficoltà a comprenderne la natura perché la considerano sinonimo del precedente orientamento. Eppure la differenza c'è, ed è profonda! L'orientamento al marketing è ancora tutto ispirato da una visione endogena all'impresa, tipica della fase della modernità e della cultura industriale. E’ certamente vero che esistono i consumatori a cui rapportarsi, ma questi sono percepiti più come terra di conquista che come polo dialettico, come reali interlocutori dell'impresa. L'orientamento al consumatore postula invece il primato della soddisfazione dei bisogni del consumatore, la sua nuova centralità. Non e una motivazione etica a indurlo e neppure e successo che l'impresa si sia improvvisamente trasformata in una sorta di Fatina dai Capelli Turchini. E’ solo l'unica risposta possibile a fronte di un consumatore che ha ormai terminato il suo periodo di apprendistato e che manifesta una crescente impazienza di vedersi riconosciuto in un nuovo ruolo. Il marketing, che dovrebbe costituire lo strumento elettivo per adeguarsi al nuovo contesto, appare prigioniero di filosofie e strategie di intervento elaborate nell'epoca che lo ha visto nascere e che ha celebrato i suoi successi. «Le relazioni tra clienti e fornitori - scrive Gummesson - sono alla base del marketing. Nell'attuale concezione del marketing management, il marketing e ridotto a scambi impersonali attraverso la produzione e la distribuzione di massa. Il produttore offre prodotti e servizi tramite un intermediario e il cliente corrisponde denaro. Il Produttore e anche il Dettagliante sono visti come mere marche, e potrebbero essere completamente anonimi per il consumatore che, a sua volta, e considerato come una statistica. Risulta evidente che l'approccio al marketing, appena descritto, non è adeguato all'attuale realtà della società» . Il marketing relazionale, se interpretato nella sua complessità, può invece costituire la risposta più coerente con la transizione d'epoca: una nuova concezione del marketing rivolta a costruire relazioni, a modificare l'attuale perdurante asimmetria tra domanda e offerta proponendosi, nei confronti del cliente, in un'ottica di rapporto di lungo periodo: «e di rapporto allargato e interattivo secondo cui lo scambio non riguarda solo merce contro denaro ma anche conoscenza, che viaggia dall'impresa al cliente e dal cliente all'impresa». Oggi l'impresa si deve confrontare con un consumatore che dimostra maggiore discrezionalità nelle scelte e che si sta scordando di antiche subalternità e soggezioni. L'ormai inarrestabile declino della fedeltà alla marca rappresenta una tangibile testimonianza di ciò. Il consumatore percepisce di avere un maggiore potere contrattuale nei confronti delle imprese e intende avvalersene fino in fondo. Orientamento al consumatore significa anzitutto capacita d'ascolto reale, che eviti di recepire soltanto ciò che interessa sapere e in maniera disattenta. L'ascolto e la premessa per intessere un dialogo, per interrompere quel monologo che dura da sempre e che oggi appare improponibile. L'impresa non è attrezzata per recepire voci reali, ma solo un rumorio di fondo, poco intelligibile; la voce del consumatore si dissolve in insiemi statistici di dati. Ascolto e attenzione nuova implicano anche rispetto per il consumatore, che è già una modalità di risposta: rispetto significa accettare che abbia istanze specifiche e diverse dalle proprie, riconoscimento dell'alterità, rinuncia a gridare più forte: non significa deferenza. Orientamento al Consumatore significa capacita di soddisfare i bisogni, i desideri, le attese di questo nuovo protagonista dei mercati, adeguando alle sue richieste, manifeste o latenti, le caratteristiche tangibili e intangibili dei prodotti. Risolvendo, al tempo stesso, il vasto campionario di problemi che sovente l'uso dei prodotti comporta, il che, in altre parole, significa anche capacità di incorporare nei prodotti quote crescenti di servizio Ma anche, e forse soprattutto, instaurando un dialogo, una relazione con lui. L'attributo "relazionale" riferito al marketing, il passaggio cioè dall'epoca della transazione a quella della relazione coglie in parte questa esigenza. Sta emergendo un consumatore che esprime istanze crescenti di personalizzazione dei prodotti, sempre meno incline a dedicare interesse a proposte pensate per un pubblico anonimo indifferenziato. Il marketing relazionale, se correttamente interpretato, implica davvero una rivoluzione copernicana: trasforma il consumatore, tradizionalmente considerato in termini di passività (a cui vendere, da studiare), in soggetto con cui dialogare realmente e non in senso metaforico. Centralità del consumatore nel marketing relazionale vuol dire customer knowledge management, cioè portare il consumatore all'interno dell'impresa, coinvolgerlo nella co-creazione. Significa quindi non solo capacità di ascolto con metodi completamente diversi rispetto al passato ma utilizzazione delle competenze che questi ha maturato. Significa coinvolgerlo attivamente nella progettazione di beni e servizi, richiedere una sua cooperazione nei processi di comunicazione, farlo partecipare realmente a tutte le fasi significative della filiera, fornirgli prodotti finali non serializzati, non pensati per un consumatore anonimo ma rispettosi delle singole individualità. La reale nuova frontiera del marketing vede oggi l'engagement del consumatore, il suo attivo coinvolgimento in molte funzioni con una intelligenza strategica, tesa a rinunciare a “hortum clausum” in cui sino ad adesso era confinata, per cogliere in un reale processo di coevoluzione gli straordinari apporti che un coinvolgimento reciproco, sugli stessi progetti e piani di lavoro, può generare. L'esigenza di disintermediare il più possibile la lunga filiera, che ha collocato il consumatore distante dall'impresa finendo per oscurarne la visione, deve essere comunque realmente, consapevolmente, perseguita e privilegiata. Forse l'apologo di Maometto e la montagna deve trovare applicazione nel marketing relazionale: in questo contesto e più la montagna impresa a recarsi da Maometto consumatore, invertendo i percorsi tradizionali. L'obiettivo di conoscenza non è più quello, ortodosso, di studiare, di vivisezionare il consumatore alla stregua di un entomologo che studia i coleotteri, ma di apprendere da lui ( con una sorta di open source marketing): chi utilizza quotidianamente beni e servizi in contesti tanto differenti (vale dire il consumatore finale) ha sviluppato capacità critiche su livelli di conoscenza e di competenza sovente superiori a quelli dell'impresa stessa: molto spesso un consumatore ne sa molto più di un commesso che tenta di vendergli un prodotto! Si tratta comunque, al di la di queste elaborazioni che sono ancora allo stato nascente, di iniziare a pensare in un modo nuovo, di instaurare, come alcune imprese lungimiranti vanno inziando a fare, nuove modalità di dialogo e di rapportarsi al consumatore su un piano di maggiore simmetria, in un flusso orizzontale e non più verticistico partente dall’alto, dove il consumatore, deve poter aver opportunità di divenire ConsumaATTORE. Non e un gioco di parole ma un vero capovolgimento di prospettiva: il consumatore diviene appunto attore, partner per l'impresa. In questa concezione il marketing tradizionale con le sue patetiche 4 P (nessuna delle quali chiama esplicitamente in causa il consumatore) si disvela come equivalente dell'economia fordista. In una fase di orientamento al consumatore, scrive Giaretta «la competitività dell'impresa viene allora a formarsi non solo nei termini di risolvere direttamente i problemi del consumatore, ma anche di tutelarne i diritti all'informazione, alla sicurezza, alla liberta di scelta, all'ascolto, alla qualità promessa e alla parità di trattamento. Bisogna comunque tenere sempre presente, per evitare pericolose fughe in avanti, che il cambiamento intervenuto nel consumatore non e poi cosi prorompente da fargli assumere sempre un ruolo attivo nel rapporto con l'impresa … » [*] Giampaolo Fabris, sociologo, professore ordinario di Sociologia dei Consumi e creazione e gestione della marca.
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Luglio 2015
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